IRENE LUPI

Qual è il tuo settore artistico? E scegli tre parole che descrivono il tuo lavoro.

Il mio settore artistico implica diversi fattori: arte digitale – uso molto il video e l’audio – ma  anche forme tradizionali come il ricamo o materiali che vengono dalla natura, tipo il lino. E’ una ricerca costante, un’espressione di vita quasi, nella quale ricerco all’interno delle pieghe delle storie che mi vengono devolute dalle persone che ho accanto una formalizzazione che si può chiamare arte.
Tre parole che descrivono i miei lavori: “diritto alla complessità”, il mondo oggi è molto troppo veloce, non mi basta una foto o un post e nemmeno una definizione per la complessità dei miei lavori, perchè sono lenti e presuppongono più punti di vista e delle stratificazioni. La seconda parola è proprio stratificazione. Infine, ascolto.

Quali sono le tematiche maggiormente affrontate nelle tue opere? E quali figure o movimenti artistico-culturali ispirano ciò che fai?

La memoria in tutte le sue declinazioni, sia quella storica, quindi quella collettiva, ma soprattutto quella individuale, che poi può diventare anche collettiva. Parto da un fatto accaduto raccontato da chi l’ha vissuto e spesso lavorando con anziani della terza età – arriviamo a 90, 100 e oltre. Succede che siano spesso le ultime persone rimaste in vita che hanno vissuto quel momento particolare che decidono di raccontarmi. Essendo la memoria non riproduttiva, ogni volta che la riproponi la ricrei. Può cambiare colore, la percezione che hai avuto di una cosa. Tutto questo mi interessa molto, l’abilità della memoria che può convergere nell’ascoltatore, le pieghe che si vengono a creare quando nella memoria di tutti spesso c’è una memoria storica. La memoria è aperta e mette in crisi molte cose.
Più che movimenti artistici, per come ho sviluppato il mio lavoro, mi ispiro a persone con le quali entro in contatto per i miei lavori, penso a Enrico Pieri, Adele Siria Pardini, Ennio Mancini, persone di riferimento dalle quali prendo spunto per la formalizzazione dei miei lavori.

Con quali spazi del territorio fiorentino ti relazioni e qual è il rapporto che hai con altri artisti locali?

Ho fatto ultima mostra alla galleria Poggiali, curata da Sergio Risaliti. Ho lavorato con il Pecci quando c’era Cavallucci. Ho lavorato con Casa Masaccio sempre in provincia di Firenze. Ho lavorato col Museo Marino Marini sempre per dei laboratori. Ho lavorato con l’Accademia delle Belle Arti. Mi sono resa conto però che il mio lavoro è davvero indipendente dal dove devo esporlo.
Le mie collaborazioni sono con persone fuori dal contesto artistico-culturale, spesso incontrate tramite residenze o nei luoghi in cui sono stata. Col Progetto Too Late ho scelto 3 realtà diverse per collaborare con 3 artisti diversi scelti: con Giacomo Casprini al carcere di Siena, con Nuvola Ravera al Riabilita e con Alessandro Neretti. Tre appuntamenti con tre realtà diverse: il carcere di Siena, il Riabilita – centro per persone con problemi neurologici – e con Neretti al Centro Anziani. Adesso tutto è in stallo per via del covid. Comunque il mio interesse è sempre aperto a chi non è addetto ai lavori.

Che strumenti o materiali utilizzi?

Utilizzo la memoria di altre persone in primis come strumento. Poi sono supportata da mezzi multimediali con cui registro e ultimamente ho utilizzato anche disegno e ricamo. Adesso sto producendo una graphic novel con una associazione di Stoccarda a Sant’anna di Stazzema. Ho deciso di raccontare la memoria di Enrico Pieri a cui è stata sterminata la famiglia a 10 anni nel 1944. Ho ricostruito la sua memoria intera fino ai giorni d’oggi, non semplicemente quello che successe quella giornata d’agosto. Ho provato molteplici volte a fare delle interviste: ma quando accendi telecamera o microfono sono i primi ad autocensurarsi e le famiglie ancora di più. Perchè la memoria è troppo connessa alla storia. In generale ho usato tanti strumenti, ho fatto anche un vinile, ho costruito una bicicletta acquatica.
Uso il computer per il montaggio video, ma non mi piace molto la postproduzione. Per me postproduzione è decidere l’angolatura sapendo già cosa voglio chiederti, questa è la postproduzione per me.

Qual è il tuo rapporto con il mezzo e lo spazio digitale? In che modo le tue opere ne sono influenzate?

Non abbiamo un ottimo rapporto, non ho mai avuto social. Non per snobbismo, ma perchè sono una persona lenta e questa cosa la rivendico. In passato mi ha fatto molto soffrire, ma adesso so che ho bisogno dei miei tempi e ho sentito la necessità di rivendicarlo. Sono una persona pudica, non amo la sovraesposizione, soprattutto per i miei lavori. La comunicazione che trovo ideale per il mio lavoro è quella del sito, nelle mie opere ci sono talmente tante stratificazioni che non possono essere comunicate tramite un post, non rende merito alla complessità di un’opera. Però mi piace usare gli strumenti multimediali in modo inaspettato: far registrare il mezzo e poi rileggerlo, non essendo te a partire da un’idea, una costruzione, ma leggere quello che accade all’interno del mezzo in quanto tale come se avesse una propria vita ed una propria personalità. Questo mi affascina come lettura.

In che modo la dimensione fisica e digitale interagiscono nella tua produzione artistica?

Non posso far vedere la realtà quindi penso a come renderla a livello telematico, rifletto sul lavoro che devo fare per dove deve andare. Il contesto è fondamentale per me, mi piace realizzare progetti site specific, quindi le mie realizzazioni sono sempre contestuali, così anche quando devo prendere in considerazione lo spazio digitale.

I tagliatori di tempo – di Irene Lupi